Ricordo di Mathausen

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Alcune pagine del libro scritto da Marina Valcarenghi sulla vita di nostro  padre Aldo nel campo di concentramento

Ho aperto, come faccio ogni 25 aprile, il piccolo libro scritto da mia sorella Marina, sulla vita di nostro padre Aldo, dal suo primo arresto a 18 anni, fino alla Liberazione. Un libro prezioso per far conoscere a chi non ha vissuto quegli anni e per chi li ha dimenticati. S’intitola “Aldo Valcarenghi la ricerca della libertà” edizioni Unicopli.
Finché ne sarò in grado, comunque, ve ne condividerò qualche riga, ogni 25 aprile.
L ‘anno scorso riportai alcune delle struggenti e delicati immagini poetiche che mio padre scrisse sulla vita a Mathausen.
Oggi vi propongo qui, un brano che Marina riporta per comprendere perché i deportati politici riuscirono a sopravvivere, almeno nei primi mesi di prigionia, un po ‘di più degli altri. E poi alla fine, quando i campi di concentramento divennero campi di sterminio e sopravvivere divenne quasi impossibile.
 
Nel lager, la salute, la giovinezza e la fortuna non erano sufficienti, era necessario anche, per la maggior parte del tempo possibile, rimanere liberi dentro. Quando ci si arrendeva era più facile morire… conservare dentro di sé le ragioni che lo avevano portato lì e so dai suoi amici quanto Aldo, nella sua prima fase della deportazione, si impegnasse per aiutare se stesso e gli altri suoi compagni in questa impresa. Aurelio Sioli e Germano Facetti mi raccontarono che il 7 novembre 1944,all ‘ora del rancio e in un freddo polare, mio padre radunò i compagni italiani dietro una baracca e commemoro’ brevemente la rivoluzione d ‘ottobre.
Concluse il suo discorso con alcune frasi delle quali, questo era in sintesi il riassunto dei suoi amici ” Ma che senso ha oggi tutto questo per noi, quando siamo ormai quasi sicuri di non superare l’inverno? Il senso è, oggi, nel ricordare chi siamo e perché siamo qui, in nome di che cosa, per quale progetto e pazienza se non saremo noi a portarlo a compimento.
Abbiamo sempre sperato di perdere questa guerra e ormai sappiamo che è solo questione dì tempo e I nostri figli e i figli dei nostri figli saranno liberi.
Le nostre vite hanno avuto un senso nel contributo non solo alla fine del nazifascismo, ma anche al riscatto morale del nostro paese”.
Arrivava però il momento in cui non si poteva più scegliere e decidere un comportamento, perché la prostrazione colpiva a tal punto per cui, esattamente al contrario di prima, era l’assenza di pensiero a sembrare l’unica salvezza:un assenza giustificata…
Quando arriva il momento in cui non ce la si fa più a rimanere attaccati alla complessità della vita umana, cioè alla vita di prima, quando non si riesce più a simbolizzare, a costruire pensieri, quando si fuggono i ricordi come insopportabile sofferenza, allora ci si aggrappa alla sopravvivenza fisica, oppure ci si lascia uccidere o ci si uccide.
E questa era la seconda fase della vita del lager e anche l’ultima.
Nelle parole di Aldo alla fine
“La prova che abbiamo subito è troppo dura per avere un qualsiasi valore di esperienza umana. L ‘atmosfera allucinante del campo, la meccanica crudeltà, direi quasi surreale ,di tutta l’organizzazione, ci obbligava a cercare nell’abbrutimento e nell’assenza di pensiero la salvezza…..un solo aspetto positivo lo stringersi di indissolubili legami di amicizia…Io stesso devo la vita alla abnegazione e allo spirito di sacrificio di alcuni compagni…”
In aprile, nell’ultimo mese prima della liberazione, Mauthausen /Gusen …fu eseguita una vera mattanza , 500 prigionieri al giorno nelle camere a gas, moribondi abbandonati accanto ai cadaveri che si ammucchiavano, nei blocchi sei uomini dovevano condividere una cuccetta e la dissenteria li faceva morire.
Fu in quel periodo che per due volte Aldo si trascinò verso il recinto di filo spinato percorso dall’alta tensione e tutte le due volte fu fermato dai suoi compagni…”
…E tuttavia poiché gli esseri umani sono complessi e densi di contraddizioni, appena si sentirono liberi, quel primo Maggio a Mathausen quelli che ancora ce la facevano cantarono insieme, ognuno nella propria lingua, l’Internazionale e subito dopo il gruppo degli italiani intono ‘ va pensiero ‘.
Stavano già rincominciando a ricordare.
 
Grazie papà Aldo, di aver vissuto finché hai potuto e grazie sorella Marina per avere saputo ricordare in sole 150 pagine tutta la sua meravigliosa vita.

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