I postfascisti di oggi giudicano la Resistenza riferendosi attraverso la fase dell’anfascismo militante degli anni 70
Consentitemi un ultima riflessione per completare il pensiero di ciò che mi ha mosso questo 25 aprile.
Non so se avete notato, come i vari La Russa, Donzelli, Meloni, Lollobrigida e soci, così come i loro amici giornalisti di area, quando espongono le loro riserve sul perché non si definiscono antifascisti, tutti loro non portano come motivazione qualche ragione che riguardi i partigiani o la Resistenza, ma si riferiscono alle morti e alle violenze causate dall’antifascismo militante del movimento degli anni ’70. Citano la morte dei giovani fascisti uccisi da certi servizi d’ordine. Oppure dall’antagonismo degli anni seguenti o dell’intolleranza della contestazione nelle università dove non viene dato il diritto di parola agli esponenti ritenuti servi del potere. Così come accadde negli anni ’70. Nel movimento degli anni ’70. Citano la morte dei giovani fascisti uccisi da certi servizi d’ordine. Oppure dall’antagonismo degli anni seguenti o dell’intolleranza della contestazione nelle università dove non viene dato il diritto di parola agli esponenti ritenuti servi del potere. Così come accadde negli anni ’70.
La mia sensazione è che la scelta di usare questo, chiamiamolo antifascismo violento post Resistenziale, per sottrarsi all’imbarazzo, nasconde la realtà di una cultura politica che non vuole recidere le radici del fascismo storico e usa strumentalmente la violenza degli anni ’70 di certi gruppi.
Perché se è vero che questa violenza c’è stata, se è vero che certi servizi d’ordine brandivano le chiavi inglesi che spaccavano le teste al grido di Hazet 36 fascio dove sei…è anche vero che in campo fascista si organizzavano spedizioni punitive con catene e coltelli contro i militanti dei gruppi di sinistra, oltre stragi e attentati terroristici veri e propri.
Questo antifascismo militante andrebbe quindi inquadrato storicamente come parte dello scontro in atto negli anni ’70 tra sinistra extraparlamentare e destra extraparlamentare. Nulla a che fare con la Resistenza e la lotta partigiana. Basta ricordare gli slogan che il 25 aprile venivano usati per contestare da sinistra, la festa della Liberazione: “Il 25 aprile non è un anniversario, ma un giorno di lotta rivoluzionario” oppure “Il 25 aprile è nata una puttana, l’hanno chiamata Democrazia Cristiana”. Rivendicando una Resistenza tutta rossa, negando il valore apportato dalle altre componenti cattoliche, o azioniste, riprendendo la cultura stalinista dei socialisti chiamati in Unione Sovietica “socialtraditori” termine che Togliatti riservò anche a Matteotti, purtroppo. Ben ricordo il corteo che muove dalla Statale verso il Duomo dove si teneva un comizio di Pietro Nenni al grido Nenni traditore. Insomma era ben chiaro ed evidente che vi era una frattura forte tra il 25 aprile dell’Anpi e dei partiti che avevano partecipato al Comitato di Liberazione nazionale con una parte della sinistra extraparlamentare e del Movimento Studentesco nella sua deriva stalinista.
Per questo ritengo del tutto strumentale la motivazione addotta dai post fascisti per giustificare il loro non dichiararsi antifascisti. La realtà è che semplicemente non sono, non si sentono tali. Ma non possono dirlo perché i loro Ministri hanno giurato sulla Costituzione.