Lavoro per vivere, lavoro per conoscersi

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Il lavoro può essere visto come lavoro per la sopravvivenza o  come lavoro su di sé per la propria crescita personale, quello che il Maestro armeno Gurdjieff usava riferendosi a chi si dedica con spirito di servizio alla ricerca della verità e anche alla crescita personale degli altri.

Non a caso, Gurdjieff parlava di Lavoro, con la elle maiuscola.

Vediamo prima come possiamo rapportarci in modo diverso, al lavoro inteso come il procurarsi i mezzi necessari per pagarsi le spese della vita quotidiana. Siamo ancora in un periodo critico a livello sociale e qui mi rivolgo ai più giovani. Abbandonate l’idea che si possa uscire definitivamente dalla crisi sperando di tornare ad un modello di società da posto fisso. E comunque non augurerei a nessuno dei nostri lettori di ripercorrere i tempi in cui l’ingresso al lavoro significava nelle speranze di molti, entrare in Fiat, in banca o in un ufficio statale. Un posto fisso per avere le garanzie necessarie per potersi indebitare a vita. Per una esistenza pagata a rate.

Io, negli anni ’60, vedendo i miei coetanei ambire a questa sicurezza economica che li avrebbe schiavizzati fino alla fine, sentivo che per me quella scelta sarebbe stata una morte civile…Avevo già vissuto questa sensazione di prigionia frequentando le aule scolastiche dove in cambio di qualche nozione venivamo preparati giorno dopo giorno, alla perdita della libertà.

Non a caso poi, prima ancora di diventare maggiorenne, optai per lasciare gli studi per sperimentare prima possibile la mia idea della vita  concepita come esplorazione e libertà. Senza esitazione dirottai la mia energia immaginando un’altra vita, la vita di chi viveva un’esistenza divisa tra tempo di lavoro e tempo libero. Dove la vera vita veniva confinata nel tempo libero.

Era chiaro in me che avrei potuto anche lavorare dodici ore al giorno ma che quel tempo di lavoro non sarebbe stato un tempo inteso come prezzo da pagare per vivere la mia vita nei giorni festivi o la sera. Il mio lavoro sarebbe stato un tempo di lavoro liberato.

Fu così che mi inventai un giornale “Onda verde” che si rifaceva ai provos olandesi, un movimento giovanile provocatorio e mi pagavo la giornata vendendo il giornale per strada, consentendo a tanti ragazzi dai capelli lunghi, come me, magari scappati di casa, a guadagnarsi da vivere, vendendo anche loro il giornale. Cinquanta lire a me e ai miei amici con cui avevo dato vita alla redazione e 50 lire al venditore. Oggi il modello sociale che viene proposto non è più il posto fisso ma il precariato mobile.

Certo, una condizione ancora peggiore dal punto di vista economico, ma che forse paradossalmente, meglio consente di immaginarsi lavori nuovi, basati sulla creatività e l’ingegno. Il lavoro concepito come invenzione, sorretto da una spinta energetica in direzione di pratiche da esplorare in cui misurare lenostre capacità, la nostra forza vitale. Come ci ricorda l’I Ching: massima crisi = massime opportunità se non ci facciamo vincere dalla depressione rivestendo il ruolo di vittima della società.

Oggi la creatività di un ragazzo che vuole vivere sentendosi libero ha molti più spazi e strumenti come il web e ci sono bisogni particolari maggiori che i nuovi modelli di vita fanno nascere.

Chi, ad esempio, negli anni ’60 si poteva immaginare come dog-sitter?  Ma lo spirito, la forza d’animo necessaria per buttarsi in una impresa da costruirsi da soli o con un piccolo gruppo di amici in sintonia è la stessa. Ricordo che spesso, facevo fatica a trovare il tempo per andare in bagno e la notte andavo alle uscite dell’ultimo spettacolo dei cinema in centro a Milano o nel quartiere degli artisti a Brera con il mio pacco di giornali. Magari ero in attività da mezzogiorno all’una o alle due di notte, ma mi sentivo libero. Questo sentimento è il massimo che posso augurare ai ventenni di oggi. Costruirsi la giornata giorno per giorno in piena libertà di pensiero e di movimento.

Dopo Onda Verde, alla nascita del movimento degli studenti, feci la stessa cosa iniziando un giornale di controinformazione per spiegare ai cittadini le ragioni delle lotte studentesche. Si chiamava “Gli studenti alla città”. Ancora 100 lire. Cinquanta agli studenti che andavano in giro a venderlo e cinquanta alla redazione. Anch’io vendevo e vivevo con quelle 50 lire. Poi con questo spirito nacque anche Re Nudo sia pure con un piccolo salto strutturale e anche minimamente imprenditoriale. Ricordo bene che il numero zero di Re Nudo (dicembre ’69) lo vendemmo tutto per strada. Quasi diecimila copie per la stragrande maggioranza vendute a Milano e programmammo la stampa del numero uno un paio di mesi dopo, avendo messo da parte abbastanza denaro per la stampa, attraverso la vendita.

Nel giro di tre quattro mesi l’eco di Re Nudo attraversò tutta l’Italia e furono decine e decine i ragazzi che ci chiedevano pacchi di riviste da vendere nelle loro città, riconoscendosi nei contenuti e insieme vedendolo come opportunità per sbarcare il lunario. Anno dopo anno divenne una piccola impresa, andammo in edicola e i venditori per strada furono centinaia, poi ci inventammo i festival pop in campagna e poi ancora i tre grandi festival al parco Lambro…un giro importante in entrata e in uscita  di decine di milioni dove però alla fine dei festival non rimaneva nulla nelle nostre tasche, salvo la gioia di aver fatto e vissuto qualcosa di importante per noi e per tanti come noi.

Fu poi nell’incontro con Osho che conobbi il significato di “worship” o Lavoro devozione, lavoro su di sé per conoscere maggiormente se stessi e gli altri. In questa fase, senza tante teorizzazioni, accadde che vissi insieme sia la dimensione del lavoro liberato sia quello della ricerca interiore. Episodio emblematico di questa nuova fase fu l’apertura a Milano di quello che Osho chiamò Vivek, il grande spazio nel quartiere di Brera dove per qualche anno Mauro Rostagno e altri suoi amici, avevano aperto Macondo un centro sociale ante litteram. Macondo, un ritrovo per centinaia di ragazzi di ogni età che si ritrovavano a far musica, vedere film, fumare ogni cosa, far cena o prendersi un tè. Un locale che fu poi “chiuso” dalla polizia per il troppo fumo illegale circolante e Rostagno, all’epoca già attratto da Osho, mi propose di rilevarlo per farne uno spazio di meditazione. Aprendo Vivek con due soldi e qualche cambiale mi ritrovai con un pugno di amici vestiti d’arancio a dare vita a quello che sarebbe stato il più grande centro di meditazione in Italia, mantenendo gli spazi di sala da tè, ristorante e discoteca ereditati da Macondo. Si faceva e si offrivano meditazioni, workshop, cene vegetariane, sabato sera dedicato alla disco, serate dolci a bere tè e ascoltare musica dal vivo a volte con amici e ospiti inattesi come Ivan Cattaneo o Giorgio Gaber, curioso di tutti imovimenti e quindi anche dello stato nascente intorno a Osho.

Per qualche anno il lavoro liberato coincise con il Lavoro su di me, per gli altri e per il Maestro. E così fu anche dopo, quando fui invitato a vivere a Osho Miasto, l’appena nata comune in Toscana, dove restai per quasi venticinque anni di cui una ventina come responsabile.

Fu in questa fase che con modalità diverse sperimentai altre sfumature del concetto di lavoro liberato e di ricerca interiore. Sperimentai e feci sperimentare il valore della moneta affettiva, del valore dell’energia di quello che si chiamava Buddhafield, campo energetico del Buddha. L’economia del quotidiano non era più solo contabilizzata col denaro che si poteva guadagnare esprimendo la nostra creatività e passione per quello che facevamo come seminari, tagliare l’erica e fare le scope di saggina, campi di meditazione e allevare lombrichi vendendo l’humus, ma riconoscendo anche il valore tangibile della vita in comune.

Il denaro per vivere era poco, pochissimo ma il valore del tempo passato insieme, delle condivisioni, dello specchiarsi gli uni negli altri, del vivere insieme ad altri amici ricercatori, in una empatia particolare, uniti da un Maestro comune era un valore enorme e andava riconosciuto e dichiarato. Prima di tutto a noi stessi. Dall’esterno o da chi passava di lì senza coglierne il senso, poteva sembrare che noi si lavorasse tutto il giorno senza guadagnare nulla, senza poter accantonare neanche una lira. Solo dall’interno comprendevamo l’immenso valore della moneta affettiva, psicologica, energetica di cui noi beneficiavamo vivendo il privilegio di quella esperienza.

Certo le esperienze di questo tipo sono poche, difficilmente ripetibili, anche se Miasto prosegue la propria esperienza con questo spirito di fondo. Quello che ognuno nel proprio percorso di ricerca può fare, ovunque si trovi a vivere, è portare l’attenzione a coltivare i rapporti e le amicizie che vibrino della stessa energia portando nella dimensione del lavoro le energie sottili di chi è come noi alla ricerca di sè e che voglia evolvere come essere umano. Scegliere le persone da frequentare con cui lavorare e con cui fare meditazione.

Nella mia esperienza di vita e di lavoro degli ultimi quindici anni dopo l’esperienza a Miasto ho cercato di coltivare questo spirito. Ho continuato a cercare di vivere in un unico tempo anche portando la meditazione nel lavoro quotidiano. L’esistenza mi ha dato occasioni importanti per entrare in contatto con tantissime persone belle, anche loro alla ricerca. Certo c’è stata qualche buccia di banana su cui son scivolato, qualche delusione personale, sì, ma pochissime.

Re Nudo oggi è, nel mio vissuto, una esperienza a dimensione famigliare, comunitaria, lavorativa, amicale. Durerà? Quanto ancora? Non so. Le difficoltà ci sono, gli imprevisti pure ma il clima di fiducia, di affetto e  chiamiamolo pure amore, compensa anche qui la carenza di denaro. Una economia alchemica la nostra, che rispecchia il magico percorso della mia vita personale. Con tutti i suoi limiti che rispecchiano i miei limiti come persona. Non sono diventato un manager, non sono diventato una guida spirituale come tanti altri amici che si sono realizzati in un modo o nell’altro. Precario a vita, né carne né pesce, disadattato cronico secondo il modello culturale dominante ma ancora uomo libero. E in fondo è questo valore, certo relativo, che forse posso trasmettere a chi mi sta leggendo.

Abbandonate l’idea di una identificazione in un lavoro in cui egoicamente realizzarsi separato dalle esperienze di ricerca. Coltivate l’idea di un lavoro che abbia in sé l’energia del Lavoro.

E poi accada quello che deve accadere.

2 risposte

  1. Molto bello questo articolo. In effetti il disadattato cronico è colui che rifiuta certi compromessi esistenziali.
    Si tratta di una scelta, che comporta anche una certa disciplina interiore.
    Osho sottolineava la differenza tra controllo e disciplina: il primo è indotto, la seconda è un processo spontaneo, libero.
    Chi rifiuta il controllo, prima o poi sviluppa questa disciplina.

  2. Molto bello questo articolo, che concludi dicendo di restare precario a vita, di non esserti realizzato nemmeno come guida spirituale, come certi tuoi amici.
    In effetti il disadattato cronico è colui che, coerentemente, rifiuta certi compromessi esistenziali.
    Si tratta di una scelta di vita che comporta anche una certa disciplina interiore.
    Osho sottolineava la differenza tra controllo e disciplina: il primo è indotto, la seconda è un processo spontaneo, libero.
    Chi rifiuta il controllo, prima o poi sviluppa questa disciplina.

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