IL RE È NUDO!
Pedofilia e devianza sessuale nella Chiesa Cattolica
L’assurda regola che ancora impone la castità come obbligo sacerdotale è la causa prima della tragedia della perversione sessuale di decine di migliaia di preti. La condanna del papa è quindi ipocrita nella sostanza, perché colpevolizza solo quegli esseri umani che sono anche vittime di questa regola, senza interrogarsi sulle cause di questa devianza così diffusa.
Avrete letto sui giornali e visto in televisione l’appello del papa contro la pedofilia nella Chiesa e l’invito ai vescovi a denunciare i preti pedofili alla Magistratura. Erano ormai incontenibili gli scandali emersi in tanta parte del mondo, salvo in Italia, dove l’autocensura di tutti, media compresi, è ancora molto efficace.
Ma la denuncia del papa è diretta nei confronti dei singoli preti colpevoli e nei confronti della propria Chiesa, che ha taciuto e coperto finché ha potuto.
Noi riteniamo che invece c’è molto altro da dire. Prima di tutto il problema di una pedofilia così diffusa nella Chiesa Cattolica che ammette 3.000 casi denunciati tra il 2001 e il 2010 è indicatore comunque di un sommerso di decine di migliaia di preti pedofili. Del resto una statistica del governo degli Stati Uniti, del 2001, riportava che il 40% dei preti americani aveva rapporti omosessuali occasionali e 53.000 erano i preti pedofili.
A noi è chiaro, al contrario del Vaticano, che tale diffusione di devianza non è da imputare ad una particolare debolezza del clero cattolico rispetto ai ministri di culto di altre chiese.
La differenza è che la Chiesa Cattolica Romana ancora impone la castità come obbligo sacerdotale.
E’ vero che formalmente non è un obbligo imposto ma una libera scelta di chi prende i voti, ma conoscendo un minimo l’essere umano, sappiamo che all’inizio, quando la vocazione è sincera, come all’inizio di qualunque impresa, ci si sente così forti da poter arrivare ad una gioiosa accettazione della rinuncia al sesso per donarsi totalmente al servizio della fede.
E’ solo nel tempo che l’istinto sessuale, nella gran parte dei casi, conserva una relativa autonomia dalla coscienza e riesca poi a travolgerla. Così nel corso degli anni s’insinuano la sofferenza, la tentazione, il tormento… I più fragili, o quelli che non possono compensare con posizioni di potere nella quotidianità ordinaria della gestione della parrocchia, non riescono più a reprimere o a sublimare.
Così la Regola che proibisce, lentamente infligge una ferita che induce il più delle volte ad una sessualità deviata, generando atroci sensi di colpa.
Così si diffonde una perversione che è insita nella Regola.
Questa è la responsabilità più grande della Chiesa Cattolica Romana.
Questo il grande tabù millenario che forse è costato la vita a papa Luciani che, appena eletto, aveva espresso l’intenzione di metterlo in discussione.
Tra i sacerdoti che vivono questo dramma qualcuno riesce ad aprirsi a una donna trovando una corrispondenza di amorosi sensi. Di fatto vengono obbligati però ad una scelta terribilmente dolorosa tra continuare a vivere la vocazione alla vita consacrata nel tormento e il rispetto di un istinto incomprimibile, accompagnato da un sentimento di amore terreno, come ben descrive nel libro “Il prete sposato” un ex prete, che racconta il proprio travaglio, il rapporto clandestino, e infine l’abbandono della Chiesa. Ma tanti altri si lasciano tentare dal soggetto più debole, più a portata di mano, dove ci si espone di meno: i bambini.
Coi bambini, soggetti passivi e incapaci di valutare e difendersi come una donna saprebbe fare, il prete può mettere in atto una sorta di automanipolazione, per cui o si autoassolve per la sua perversione, che non riesce a riconoscere neppure con se stesso, o si costruisce un’esistenza dominata dal rimorso.
Ho letto alcune testimonianze, quando riportammo su Renudo (maggio 2002) una storia di pedofilia ventennale che un gruppo di parrocchiani a Firenze denunciò invano al cardinale Silvano Piovanelli. Le testimonianze di questi bambini abusati sono terribili sotto diversi aspetti, non ultimo quando traspare durante l’abuso, insieme al disagio e all’inquietudine, anche la sensazione di subire attenzioni proprie di un padre spirituale in cui si ripone totale fiducia.
Una oscura confusione che poi, col passare degli anni, nel bambino divenuto adolescente, si trasforma in coscienza di una violenza subita, ma ormai lontana, che raramente sfocia in denuncia, magari anche per un vago senso di colpa che alberga in tante vittime per aver subito in silenzio.
Questi i contorni e le implicazioni di una realtà drammatica, le cui responsabilità è ingeneroso scaricare sugli individui protagonisti degli abusi, perché vi è una responsabilità ben più grande della Chiesa come istituzione, sotto due profili. Il primo riguarda il comportamento delle gerarchie ecclesiastiche tenuto nel corso dei secoli: chiudere gli occhi di fronte al fenomeno, oppure affrontare i singoli casi solo quando questi venivano portati con petizioni, testimonianze, denunce collettive, gestendoli come problema interno da risolvere senza denunce alla Magistratura. I preti pedofili venivano redarguiti dal vescovo, invitati alla penitenza, a scacciare il diavolo dentro di sé, dopodiché trasferiti ad un’altra parrocchia, magari lontana, dove nella stragrande maggioranza dei casi rincominciavano a mietere vittime. E questa è una enorme responsabilità della Chiesa Cattolica, che dovrebbe pesare come un macigno sulle coscienze di tanti vescovi, di chi ha operato in modo da moltiplicare esponenzialmente le vittime degli abusi, oltre ad aver sottratto alla legge individui colpevoli di reati penali gravissimi. Sulle coscienze di chi ha agito, ma anche di chi ha saputo e taciuto e di chi non ha voluto sapere.
Ora papa Ratzinger ha ufficialmente riconosciuto per lo meno l’esistenza di questo fenomeno e ha fatto un passo in più rispetto l’appello di papa Wojtila del 2002, quando esplose uno scandalo negli Stati Uniti. Ora si dice chiaramente che queste denunce non devono più rimanere nell’ambito delle Curie, ma vanno portate al giudice civile. Ma al di là delle accuse che vengono dagli Stati Uniti e dalla Germania, per cui anche Ratzinger, quando era arcivescovo di Monaco di Baviera e da Prefetto della Congregazione della dottrina della fede, avrebbe fatto parte di questo meccanismo che ora denuncia, la questione di fondo che si pone è che l’ atto dovuto di non più coprire, tacere, trasferire i singoli responsabili, ma di denunciarli alla Magistratura,è un passo importante ma non basta. Questa nuova politica della Chiesa, se da una parte sarebbe doverosa in nome delle centinaia di migliaia di vittime innocenti sacrificate per proteggere l’immagine di se stessa, non affronta ancora la causa alla radice.
Finché persisterà la Regola, esisterà il presupposto per cui chi prende i voti sacerdotali, si autocondanna a quell’ergastolo dei sentimenti affettivi e della sessualità che è prima causa del fenomeno di massa della devianza sessuale e della pedofilia nella Chiesa Cattolica Romana. Perché, come abbiamo detto, la perversione è insita nella Regola. La condanna morale del papa rischia di essere un’ipocrisia di sostanza indicando come unici colpevoli quegli esseri umani che sono invece, a loro volta, anche vittime di un sistema, di una crudele regola che mortifica carne e spirito se non costantemente rinnovata in piena libertà dai singoli.
Solo una riforma che consentisse al prete di sposarsi e/o ridurre la regola dell’astinenza a periodi o fasi del percorso spirituale, lasciando alla coscienza individuale, in piena solitudine e autonomia, quando decidere in che modo e fino a quando sacrificare una parte di sé per dare più energia ad un’altra parte di sé, potrebbe riportare perversione e devianza nei limiti fisiologici specchio della società in cui viviamo.
Fintantoché la morale del cristianesimo non sarà percepita come delitto capitale contro la vita, i suoi difensori avranno sempre buon gioco.
(F. Nietzsche)