di Guido Viale
La rievocazione dell’omicidio del commissario Calabresi nel cinquantesimo anniversario della sua uccisione è costellata da una sequela di parole in libertà. Ma ormai ognuno può dire quello che vuole. Per esempio, Massimo Fini (su il Fatto quotidiano, 19.05.2022), racconta che una delle rapine di cui Marino si è autoaccusato sarebbe stata fatta con una sua (di Fini) automobile, prestata a un amico, che poi gli avrebbe detto essere stata usata da Lotta continua per fare una rapina.
Una notizia, anzi, un elemento di prova, mai comparso nei numerosi dibattimenti che si sono succeduti negli anni. Secondo Vittorio Feltri, invece, autore nello stesso giorno in un articolo sconclusionato su Libero, dove Pinelli viene definito “il vecchio anarchico” e Lotta continua come “il branco di intelligentoni” e “un gruppo di sbandati”, Lotta continua sarebbe sì responsabile dell’omicidio, ma Sofri no; perché, anche se avesse ordinato a Marino di uccidere il commissario, questo non basterebbe a renderlo corresponsabile dell’omicidio…
Due giorni prima Marco Travaglio era incorso in un equivoco molto significativo: rievocando la dinamica dell’omicidio di 50 anni prima, ha scritto che il commissario, “viene raggiunto alle spalle da un killer sceso da una 125 blu e freddato con due colpi di rivoltella alla nuca e alla schiena”. Ma questa è esattamente la ricostruzione fatta dai testimoni oculari alla polizia subito dopo l’omicidio, quella che vari i processi che si sono succeduti negli anni si sono sforzati in tutti i modi (anche i più fantasiosi) di smentire, perché contrasta frontalmente con quella di Marino, secondo cui il killer sarebbe stato ad aspettare il commissario davanti al portone di casa sua per venire poi raccolto dal suo autista (Marino) con l’inverosimile marcia indietro di un’auto posteggiata poco più avanti, con il motore acceso.